ELEONORA DE SIMONI
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Dioniso come archetipo

9/7/2015

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''Il regno di Dioniso  (Bacco per i Romani) si estende a tutta la natura, soprattutto al suo liquido fertile e seminale: la linfa che scorre negli alberi, il sangue che pulsa nelle vene, il fuoco liquido dell‘ uva, le stagioni della natura, misteriose e incontrollabili con i loro corsi e ricorsi''. (Ph. Mayerson)

''(...) era connesso, inoltre, all’umidità e all’acqua. Rappresentava l’energia vitale della natura (dỳnamis) e chi lo venerava ne acquisiva il suo furore (enthousiasmòs o manìa), inteso non come follia, ma come benefico stato d’invasamento divino. Questa vitalità prorompente aveva, però, il suo rovescio: Dioniso era anche il dio della trasformazione, della metamorfosi, del ciclo morte/rinascita''. (Filippo Sciacca)

L‘ archetipo Dioniso apparentemente suscita impulsi intensamente contraddittori, personalmente  credo possa essere dovuto al fatto  che i  processi enantiodromici siano estremamente rapidi, quindi poco assimilati (tendenzialmente vissuti in superficie) e proprio in virtù della loro rapidità (se ci immaginiamo le dinamiche psichiche con un andamento torico) nelle loro polarità esterme  si manifestano con grande veemenza a discapito, appunto, dei passaggi intermedi:  estasi e terrore, vitalità infinita e distruzione violenta, euforia e depressione, estremo entusiasmo e totale disinteresse (in ambito psichiatrico, tanto per intenderci, parlerebbero di ciclotimía).

‘‘Dioniso era un dio adulto che moriva, un dio che trascorreva un certo tempo nell‘ oltretomba, un dio neonato,, J. S. Bolen 

Un uomo che abbia Dioniso come archetipo dominante, potrebbe rischiare di identificarsi troppo col fanciullo divino e trovare difficile l‘ adattamento al mondo e ai suoi costumi ordinari. L‘ archetipo del fanciullo divino rischia poi di trasformarsi, nella vita concreta, nell‘ archetipo pop dell' eterno adolescente (puer aeternus) caratterizzato dall' incapacità di prendersi delle responsabilità individuali e collettive, dalla presenza di un Io dilatato e poco concreto, dal risentimento per il mancato riconoscimento delle sue pseudo qualità-speciali nonché dall' inaffidabilità relazionale (sia in ambito sentimentale che professionale). 
‘‘Se l‘ archetipo del fanciullo divino viene rimosso, il rischio sarà quello di trovarsi di fronte alla sensazione di condurre un' esistenza priva di significato, poco autentica,, (J. S. Bolen)
Per crescere psicologicamente, l‘ uomo Dioniso dovrebbe lasciarsi alle spalle l‘ identificazione con il fanciullo divino e con l‘ eterno adolescente e diventare l‘ eroe del proprio mito. Ora, come sappiamo, eroi si diventa (anche) attraverso il viaggio iniziatico. 
Il viaggio iniziatico dovrebbe condurre il nostro Dioniso nelle profondità del mondo ctonio, nel regno dei morti, nel punto più oscuro dell' utero della Magna Mater dove domina il nero e dove le indefinite mostruosità inconsce minacciano l‘ integrità dell' Io. Dioniso dovrebbe affrontare attivamente i pericoli di quel mondo e riemergere con un Io intatto e rafforzato (secondo la mia umile esperienza, non di rado il processo di riemersione inizia tra marzo e aprile).
Nel mito ufficiale, l' ultima impresa di Dioniso prima di salire sull' Olimpo fu proprio quella di tuffarsi nel regno di Ade attraverso l‘ accesso di uno stagno senza fondo della palude di Lerna, recuperare dal regno di Ade la madre Semele (morta quando lui era ancora un feto), di condurla dapprima sulla terra e poi sull‘ Olimpo rendendola immortale.
La lettura in chiave psicologica di questa impresa può essere vista come la separazione della madre personale dalla Magna Mater, nonché il superamento della paura dell‘ inconscio e del polo divorante del femminile. Quando il nostro eroe riuscirà a liberare la madre personale ( e quindi la donna, compagna, amante (…)personale, nonché la propria Anima, dalla dimensione archetipica della Magna Mater, il suo Io adolescente diverrà un Io eroico, ovvero adulto. 

Il mito di Dioniso è caratterizzato da un lungo peregrinare (Egitto, India, Asia Minore, Ellesponto, Tracia, Grecia) ovunque andava insegnava la coltivazione della vite. Era un dio perseguitato e disprezzato in quanto capace di allontanare le donne dal telaio e dal focolare per condurle in zone selvagge (fisicamente e psichicamente) coinvolgendole in esperienze orgiastiche estatiche. Era, dea del matrimonio, era sua nemica mortale tanto che secondo una tradizione insinuò in lui la follia.  
Violenza e follia  accompagnano il mito di Dioniso, tanto nel mito quanto nella vita psichica degli uomini egli se ne serve per punire chi  lo respinge (vedi re Licurgo oppure le figlie del re Preto e del re Minia; vedi anche tutte le problematiche relative al diniego dell' ombra).
Nel mito, Dioniso sarà purificato dalle sue azioni violente ed omicide da Rea/Cibele, dalla quale riceverà l' insegnamento e gli strumenti dei riti di iniziazione, diventando così il sacerdote della Grande Dea. Questo aspetto redento e mistico dell‘ archetipo di Dioniso è riscontrabile negli individui che posseggono doti sciamaniche (e quindi una psiche androgina) e medianiche (ovvero di mediazione tra i mondi).

Il viaggio iniziatico di Dioniso nell‘ Ade, versione ‘‘anime‘‘:
L‘ uomo dominato dall‘ archetipo di Dioniso può essere considerato dagli altri troppo artista, troppo femminile, troppo mistico, troppo contro-cultura, troppo pericoloso, troppo affascinante, troppo attraente. 
‘‘L‘ uomo Dioniso sconvolge la vita ordinaria, rendendo la vita difficile ed invivibile anche a sé stesso.,,(J. S. Bolen).
Lo straordinario coinvolgimento del corpo nella vita dell' uomo ad archetipo dionisiaco dominante, puó da un lato rappresentare un' esperienza estremamente positiva (pensiamo alla danza e all‘ amore), dall' altro presentare sintomi negativi di natura psicosomatica: per esempio ipocondria (l‘ attenzione e la percezione del proprio corpo sono molto forti), cecità, paralisi isterica. Anche lo sviluppo di dipendenze (droghe, alchool, sesso) possono essere dei problemi con i quali  l‘ uomo Dionisio deve fare i conti.
La vita famigliare con un uomo Dioniso può essere molto difficile, sia che si tratti di nostro padre, di nostro fratello, di nostro marito più semplice se si tratta di nostro figlio e presentiamo caratteristiche archetipiche complementari. 
Innanzitutto perché da buon ‘‘fanciullo divino‘‘ dall‘ ego inflato pretenderà costante attenzione ed adorazione ignorando completamente i bisogni altrui o considerandoli meno urgenti dei propri (va da sé che averlo come padre non sia proprio la cosa più auspicabile); la fedeltà (trasversalmente intesa), la costanza e l‘ affidabilità (anche intellettuale)  non appartengono al mondo di Dioniso, con tutte le intuibili conseguenze a livello relazionale.

La vita relazionale extra-famigliare con un uomo-Dioniso (averlo come amico o come amante) può essere invece un' esperienza molto stimolante, liberatoria, divertente e sensuale. L‘ uomo Dioniso è -paradossalmente- in grado di sviluppare amicizie anche molto profonde con uomini che presentino archetipi complementari (Ermes, Efesto, Apollo).

Una persona potrà abbracciare questo archetipo senza rimuoverlo, senza impazzire, senza commettere violenze o sviluppare dipendenze, senza essere respinto dalle persone ‘‘‘‘normali‘‘‘‘ soltanto sviluppando un Io osservante che accetta qualsiasi pensiero, qualsiasi fantasia, qualsiasi passione, senza giudizio e vergogna e senza agirle. (J. S. Bolen).

''dare testimonianza della dimensione dionisiaca significa riconoscere e apprezzare quel luogo di dolore e di morte che è la vita, e sopportare l‘ intero percorso dalla morte alla vita e dal dolore all‘ estasi, ivi compresa la ferita con cui veniamo partoriti dal tedio incolore di un ottuso conformismo alle aspettative culturali e familiari,, 
Tom Moore, Saggi sul Puer
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L' immagine della strega nella fiaba, nel mito, nella vita

23/11/2014

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‘‘Màbila,, ©Eleonora De Simoni
‘‘Era femmina. Aveva un viso sfiorito, i lati della bocca ripiegati in due solchi di pelle cadente che colavano come rivoli d‘ ombra sul mento sfilacciato in lunghi  peli bianchi. Le iridi plumbee, seppellite da palpebre stanche, non si fermavano mai nelle mie. I capelli erano raccolti in un panno scuro annodato sulla nuca che rivelava, qua e là, qualche ciocca dalle sfumature del peltro. Sedevo immobile davanti a lei, impietrita, in una piccola stanza di bitume annerito da decenni di fuliggine. Il soffitto basso e le pareti umide avevano l‘ odore acre della pece e della castagna cruda. Mi ungeva la gamba con del grasso di maiale e bisbigliava assorta qualcosa di incomprensibile. Mi perdevo nello scorcio del suo viso chino, incendiato dai riflessi aranciati del camino. Si stava prendendo cura di me e del mio immenso ego bambino. Entrambe eravamo lontane anni luce dall‘ euforia malinconica del menarca, dalla lotta femminea in equilibrio tra invidia-adulazione-stima, dalla scoperta del sesso e il dolore del parto, io per difetto, lei per eccesso. La stría, la schtróliga, lei che guarisce. Credo di non averle mai nemmeno rivolto la parola, ma quando morì piansi per due giorni di seguito. Era la mia prima morte. Tornò per dirmi qualcosa qualche tempo dopo, ma ero troppo piccola e il terrore prese il sopravvento.,,

La strega, la baba Jaga, la saggia, la stría, la stròliga (...)  può avere le sembianze di un‘ anziana saggia e solitaria, appassionata di erboristeria e depositaria di un certo carisma, vestire i panni di una Dabarni gitana in grado di leggere il futuro e  provocare il malocchio oppure assumere i tratti caricaturali e spaventosi di una vecchia mostruosa e repellente dai poteri malefici e distruttivi.  Le sue facoltà, il suo volto ed il suo corpo sono il calco  negativo ed occulto del femmineo idealizzato: essa è tanto più feroce, orrenda ed immonda quanto più il relativo termine di paragone è mistico, attraente e puro. Secondo la psicologia del profondo, la strega rappresenta  le pulsioni istintive e i desideri rimossi dall‘ inconscio in quanto incompatibili con l‘ Io (Aeppli). 
La sterga -secondo Jung- può essere considerata la  proiezione personificata dell‘ aspetto femminile inconscio dell‘ uomo o, meglio, una segreta partecipazione alla sua femminilità (da ‘‘ Archetipi dell‘ inconscio collettivo,, C.G. Jung).

Essa personifica l‘ archetipo della grande madre: nel suo corpo avvizzito ma straordinariamente vitale, racchiude nella forma più pura le pulsioni antagoniste-complementari  che regolano l‘ intero  cosmo: al contempo è cannibale e nutrice, crudele e caritatevole, è in grado di partorire o inghiottire, di attrarre o repellere, di creare o annientare, paradossalmente e coerentemente (caratteristiche splendidamente rappresentate nel mito di Demetra/Cecere).

‘‘La strega rappresenta la Madre divorante che dopo aver messo al mondo forze vitali le re-ingloba, utilizzandole quindi sempre allo stesso modo attraverso meccanismi di introiezione e proiezione, in un cerchio vizioso che torna costantemente allo stesso punto e perciò invecchia, incrudelisce, diviene sterile e negativo,, Anna Michelini Tocci, ‘‘Bipolarità dell‘ archetipo della strega nelle fiabe,,. 

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Nelle fiabe, la strega  è solita vivere isolata e nascosta nella profondità della foresta, del mare o della terra. Abita eccentriche casette irresistibilmente profumate di panpepato e frutta candita, grotte umide e oscure o spaventosi capanni muniti di occhi, bocca, uscio dentato, poggiati su zampe di gallina in grado di volteggiare! La sterga ha spesso un aspetto terribile: la sua pelle è raggrinzita, talvolta coperta di   verruche come il dorso di un rospo;  il naso è lungo e deforme, il mento prominente e barbuto; i seni ricadono stanchi su un ventre perennemente affamato di carne umana e assetato di sangue, nel cui fondo giace un utero sterile, anch‘ esso, pare,  dall‘ accesso dentato; ha occhi di fuoco, ciechi e chiusi al mondo esteriore, ma spalancati sull‘ abisso interiore dell‘ ombra; le  labbra sono sottili e taglienti come fili d‘ erba,  le unghie curve e  spesse come cortecce, i capelli arruffati, gli abiti fatti di lerci stracci scuri. Metamorfica e seducente ama accompagnarsi a volatili notturni, gufi, rospi, volpi, gatti ed ha al suo servizio le caotiche e selvagge entità non umanizzate dell‘ inconscio (spiriti, servitori invisibili, ombre, demoni...). È in grado di sfuggire alla forza di gravità terrena  che tutto controlla e opprime: ora volando su una scopa, ora balzando in un grosso mortaio, ora tramutandosi in volatile.

Affrontare e vincere  la strega, per i protagonisti delle fiabe, significa affrontare ed integrare le proprie parti in ombra attraverso l‘ espansione della coscienza oltre i limiti dell‘ Io. Spesso la strega entra in scena quando il protagonista si trova  in una situazione di di evoluzione ostacolata caratterizzata da una regressione primitiva ad uno stato di passività, pigrizia, soggezione e dipendenza spesso relazionate alla sopportazione di angherie e crudeltà (pensiamo a Raperonzolo rinchiusa nella torre isolata dal mondo, a Vassilissa sottomessa ed obbediente nonostante le umiliazioni e gli inganni subiti dalla matrigna e dalle sorellastre, ad Hänsel e Gretel abbandonati per ben due volte e rassegnati alla morte nella foresta). La figura della strega si contrappone a quella della madre buona e amorevole  che  si tramuta in abbandonica in seguito alla morte o alla sparizione:  evento che simbolizza la prima intuitiva realizzazione del Sé e l‘ inizio del processo di individuazione.La strega esaspera il protagonista sottoponendolo a difficili prove, incutendo grandi  paure e costringendolo ad enormi  fatiche ( Vassilissa per ottenere il fuoco sarà costretta a separare i semi di papavero da quelli del grano, Gretel dovrà servire la strega, Hänsel vivrà chiuso in una gabbia con la costante paura di essere mangiato, Rapoeronzolo sarà privata della sua splendida treccia e costretta a vagare nel deserto). Tali prove e fatiche simbolizzano le grandi difficoltà ed i conflitti che inevitabilmente si incontrano sul sentiero dell‘ individuazione: l‘ unico in grado di condurre l‘ eroe o l‘ eroina al ricongiungimento con le forze creative, feconde, positive della Grande Madre.
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    AUTORE:
    Eleonora De Simoni
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