Caos (materia primordiale divinizzata e impersonale) dà vita a Gea (Cibele-Magna Mater); da Gea nascono Urano (cielo stellato) e Ponto (le profondità marine); Gea si unisce ad Urano dando vita a Oceano (divinità mascile delle acque che unendosi alla sorella Teti -divinità femmibnile delle acque- diede vita a 3000 fiumi) e ad altri Titani.
Da Gea e Urano nacquero Crono e Rea. Dall' unione di Crono e Rea nacquero: Zeus, Era, Poseidone, Ade, Demetra, Estia. Qui lo schema della genealogia olimpica. versione1 Zeus tenta di fecondare Gea sul monte Agdos (a causa della rivalità col padre Urano) ma Gea si sottrae e il seme di Zeus cade a terra (o sulla roccia) fecondandola, ne nasce Agdistis ermafrodita di eccezionale violenza; gli dei decidono di privarla con un tranello della sua parte maschile, che, recisa, provoca la nascita di un albero (mandorlo o melograno); il frutto di quest’albero è raccolto da Nana, che ne rimane gravida e dà alla luce Attis. Questi cresce, bellissimo, e Agdistis e la Gran Madre se ne innamorano. Al banchetto di nozze per A. e la figlia di Mida, re di Pessinunte, Agdistis, ispirando un furore incontenibile, induce tutti i presenti ad autoevirarsi. A. si mutila sotto un pino, muore, e dal suo sangue nascono viole. Agdistis e la Grande Madre piangono il defunto e Zeus concede una sua parziale resurrezione. Versione2 Secondo altri mitografi, Zeus voleva giacere con Cibele, ma lei non voleva, quindi Zeus cavalcò la terra, nel tentativo di possederla. Nel pieno delle forze, il dio eiaculò su una pietra, la quale fecondata fu chiamata Agdos, perché Cibele era raffigurata da una pietra di una scogliera. Dalla pietra fecondata nasce Agdistis, in seguito evirato dagli dei a causa della sua ferocia. Dal contatto del suo sangue con la terra nasce un melograno. Nana (altri dicono sempre la stessa Sangaride) ne raccoglie un seme e rimane gravida.Nasce Attis. In questa versione del mito, Attis era desiderato sia da Agdistis sia da Cibele, la prima lo fece impazzire fino a farlo uccidere, la seconda seppellì il suo corpo. Dal sangue nacquero delle viole, mentre Agdistis ebbe in premio che il corpo del defunto non solo non si corrompesse mai, ma anche che i suoi capelli continuassero a crescere. Versione 3 Una notte, durante un sonno agitato, Zeus fece un sogno in cui giaceva con una donna, il suo seme arrivò fino sulla terra generando Agdistis, un giovane. Subito fu evirato dagli altri dei (a causa della sua ferocia) diventando una donna; dal membro perduto nacque una pianta di mandorlo. La pianta quando crebbe attirò l’attenzione di Sangaride, figlia del dio fluviale Sangario, la quale prese una mandorla e la nascose nel suo corpo, rimanendo incinta. Da questa gravidanza nacque Attis, ragazzo di indubbia bellezza che fece innamorare diverse donne fra cui l’ignara Agdistis. Alla vigilia delle nozze di Attis con un'altra donna, Agdistis si presentò facendo impazzire suo “figlio” che si evirò, l’ermafrodito si disperò tanto che gli dei concessero al suo corpo l’incorruttibilità. Versione 4 La figlia del dio fluviale Sangarios (fiume della Frigia), di nome Nana, mangiò, senza nulla sapere, un frutto del mandorlo e rimase incinta. Il padre di Nana, ignorando tutto, rigettò la figlia, che però venne aiutata da Gea (Cibele) a portare a termine la gravidanza. Nacque Attis, che dovette vivere tra le montagne, allattato da una capra (attagos, in frigio, da qui il nome Attis). Altre versioni: 1)Una versione del mito, quella che ben presto si arrestò lasciando posto all'altra, dice che Attis divenne compagno di caccia di Agdisis, ormai unisessuale, e suo amante. Il re di Pessinunte, Mida, volle dare in sposa ad Attis sua figlia, affinché si civilizzasse.Durante la festa nuziale intervenne Agdistis, che coi suoi poteri fece impazzire la sposa la quale si tagliò i seni. Attis, sconvolto, andò sotto un pino e si evirò, dando poi i suoi genitali a Agdisis prima di morire, in riscatto del tradimento. La sposa poi si uccise gettandosi sul cadavere di Attis. Gea (Cibele) poi seppellì i genitali di Attis. L' altra versione del mito, che prevalse sulla prima incentrata su Agdisis e Attis, trovò grande diffusione, ponendo al centro Cibele e Attis come amanti. 2)Attis, tuttavia, si innamorò della figlia del re Mida per sposarla. Nel mezzo della cerimonia nuziale giunse Cibele che, innamorata tradita, gettò la pazzia su Attis. Questi andò ad evirarsi rinunciando, così, il matrimonio con la figlia del re Mida, e riparando il tradimento a Cibele, e così morì. Dal suo sangue caduto in terra nacquero delle viole. Cibele ottenne poi da Zeus che il corpo di Attis non imputridisse e che i capelli continuassero a crescere e che potesse muovere il dito mignolo della mano. Cibele diede sepoltura ai genitali di Attis, che diventò così dio della vegetazione, che sboccia a primavera dopo la sospensione di vita nell'inverno. Nell’ arte ellenistica e romana, Attis è raffigurato come un giovane imberbe, dal costume frigio, e con in mano la verga da pastore (pedum) o la siringa. Talvolta è assimilato ad Apollo o a Dioniso; un tipo particolare è quello funerario, in attitudine melanconica, sui sarcofagi romani. Il mito di Attis e di Cibele in epoca ellenistica si caricò di nuovi significati. Innanzitutto crebbe enormemente la figura di Cibele fino a diventare la madre di tutti gli dei nella sua identificazione con Gea. L'evirazione di Attis divenne sempre più un atto di culto verso la dea, che piuttosto l'occasione per celebrarlo come dio della vegetazione. Attis evirandosi aveva sigillato la sua appartenenza alla dea, e la dea aveva ottenuto da Zeus che gli fosse data una vita corporea anche se minimale. L'evirazione diventò l'evento centrale degli adepti ai misteri di Attis e Cibele. A Roma il culto arrivò il 4 aprile 204 a.C. con la costruzione di un tempio sul Palatino. I sacerdoti della dea Cibele, detti i Coribanti, vivevano quasi del tutto segregati nell'area del tempio. Era vietato ad un cittadino romano e anche ad uno schiavo romano diventare un adepto mediante l'evirazione. Per i romani era un vero non senso. Per gli orientali c'era una lunga tradizione di eunuchi che occupavano cariche nello stato e di norma erano addetti agli harem regali. Tuttavia agli aspetti esterni del culto a Cibele e Attis non c'era un divieto di partecipazione. All'inizio la festa veniva celebrata un giorno all'anno, poi in seguito venne dato maggiore spazio alle cerimonie. Una caratteristica del culto a Cibele era il sacrificio di un toro, il cui sangue veniva fatto colare sugli iniziandi. Il toro rappresentava la potenza fecondatrice intatta e potente (il bue è un toro castrato). La perdita della potenza generatrice dell'iniziato nell'evirazione veniva compensata dall’essere toccati dal sangue della vittima uccisa, a cui ne seguiva un'ascesa nel culto misterico, l'accesso ad un nuovostatus. Era il taurobolium, che veniva celebrato una volta all'anno, e dava una purità rituale indistruttibile o solo di 20 anni, a seconda del grado di iniziazione. La formula iniziatica riportata da Firmico Materno (inizio IV-350 d.C.) è la pista che ci conduce nell'interno del culto misterico: “Ho mangiato del timpano, ho bevuto dal cembalo, ho portato il cerno, sono sceso nella camera nuziale”. Queste parole ci dicono che il miste prima si stordiva nella musica che lo portava in uno stato estatico (si nutriva di musica). Egli aveva con sé un vaso di terracotta: il cerno. Quindi scendeva nella “camera nuziale”. Questa discesa nella camera nuziale è rimasta problematica, ma una lettura complessiva del mito ci porta a dire che era la stanza dell'evirazione. Il vaso di terracotta era per raccogliere gli elementi anatomici e il sangue. “Camera nuziale”, perché l'evirazione poneva l'adepto in un amore sponsale esclusivo per la dea, visto che non gli era concesso più rapporto con donna. L'evirazione, come perdita irrimediabile di potenza virile, se compiuta per la l'appartenenza alla dea dava almiste la garanzia della protezione speciale della dea, che aveva dimostrato di amare Attis fino a gesti passionali di gelosia. Il culto misterico di Attis si sviluppò in senso ellenistico, nel clima culturale dello stoicismo, del neoplatonismo, dove il Fato era la forza oscura che dominava i passi degli uomini. La festa si teneva a Roma il 4 aprile. Consisteva in una processione. Sotto l'imperatore Claudio (10 a.C. - 54 d.C.) avvenne la riorganizzazione delle feste alla quale venne dato lo spazio di sei giorni. Il primo giorno, il 22 marzo (equinozio di primavera) era detto “arbor intrat” e consisteva nel trasporto di un pino simbolo di Attis. In questo primo giorno e nel seguente si svolgevano le lamentazioni su Attis. Il 24 era detto “sanguis”; i sacerdoti eunuchi si flagellavano e si incidevano le carni per farne sgorgare il sangue, il tutto in una danza frenetica attorno al pino. La danza e le incisioni hanno antiche radici: la Bibbia (1Re 18,20s) ce le presenta circa il culto di Baal. I neofiti in quel giorno danzavano anch'essi a suon di musica fino al raggiungimento di uno stato di esaltazione mistica, alla quale seguiva l'autocastrazione. In quel giorno veniva sepolto il pino e anche le parti anatomiche tagliate. Il 25 (quarto giorno) era detto “hilaria”; giorno di gioia per la rivitalizzazione di Attis. Il 26 era detto “requieto”, giorno di calma, di riposo. Il 27 la statua di Cibele veniva portata nel fiume Almo per essere lavata. E tutto terminava. (L'Almo era un fiume dell'agro romano, sfociava nel Tevere. Si riteneva che fosse sede di una ninfa, che veniva venerata mentre si immergevano nell'acqua le statue degli dei) Lattanzio, Divinae institutiones. De opificio Dei, De ira Dei, a cura di Umberto Boella, Firenze, 1973. “Enciclopedia delle religioni”, ed. Vallecchi (Cibele e Attis), Firenze, 1973. “Misteri in Grecia e a Roma”, mostra Colosseo 22/7/2005-8/1/2006, La grande Madre e Attis. "Enciclopedia delle religioni", ed. Vallecchi, Firenze, 1978. Giuseppina Sechi Mestica, "Dizionario universale di mitologia", ed. Rusconi, 1990. Walter Burker, "Antichi culti misterici", ed. Laterza, Bari, 1991. Giuli Sfameni Gasparri, "Attis e Cibele, culti, ecc." in "Dizionario delle religioni" (G. Filoramo), ed. Einaudi, Torino, 1993. Marcella Farioli, "Le religioni misteriche", ed. Xenia, Milano, 1998. Paolo Scarpi, "Le religioni dei misteri", fondaz. Lorenzo Valla, ed. Mondadori, Milano, 2002.do. Originariamente questa parola non aveva l'attuale connotazione di "disordine" che si ritrova nella parola d'uso comune "caos", il termine greco antico "Chaos" viene reso come "Spazio beante", "Spazio aperto", "Voragine" dove indica, nella sua etimologia, "fesso, fenditura, burrone", quindi simbolicamente "abisso" dove sono "tenebrosità, oscurità".
Esiodo non lo considera come il principio ma come ciò che da questo per primo apparire. « "Primo di tutti fu il Caos", dice Esiodo (Theog. 116) è da notare che il verbo (γένετο, non ἤν) implica che non esisteva dall'eternità. »(Herbert Jennings Rose. Caos in Dizionario di Antichità Classiche di Oxford, vol.1. Milano, Paoline, 1981, p. 375)« Va notato che il Caos esiodeo non esiste da sempre: si manifesta d'improvviso e perdura, anche dopo che si sono sviluppati gli esseri divini, come uno spazio di fondo, un buco nero dell'universo. »(Giulio Guidorizzi. Il mito greco vol.1 Gli dèi. Milano, Mondadori, 2009, p.1168) Il Chaos, secondo alcuni autori, risulta essere nella mitologia e nella cosmogonia degli antichi greci, la personificazione dello stato primordiale di "vuoto", il buio anteriore alla generazione del cosmo da cui emersero gli dèi e gli uomini. « Caos il vuoto primordiale, una specie di gorgo buio che risucchia ogni cosa in un abisso senza fine paragonabile a una nera gola spalancata (χάσκω, "inghiotto") » (Giulio Guidorizzi, Il mito greco. Gli dèi. vol.1, Milano, Mondadori, 2009, p.5) Altri interpreti della Teogonia avvertono che Chaos non coinciderebbe solo con il "Vuoto". Graziano Arrighetti ricorda che su questa nozione/divinità non si ha concordanza tra gli studiosi ma «si è in generale d'accordo che Χάος non è semplicemente il "vuoto", il "luogo" dove le entità vengono in essere e trovano collocazione»; ma, da un'attenta disamina del termine, risulterebbe essere un'entità non solo spaziale ma anche materiale: «una sorta di nebulosità senza forma associata all'oscurità.» Lo scoliaste lo descrive come kenòn, lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata:« Il Caos è dunque emissione e secrezione verso gli elementi. Alcuni lo dicono acqua, altri aria (...) "Venne all’esistenza lo Spazio beante": Chaos è in rapporto a riversarsi; è un luogo vuoto che sta tra terra e cielo; infatti è venuto all’esistenza dall’invisibile. »(Scolii a Esiodo, Teogonia, v. 116 Traduzione di Cesare Cassanmagnago. Op.cit, p.493)) « Alcuni autori sostengono che tutte le cose derivano dalla Notte e dal Tartaro, altri dall'Ade e dall'Etere; colui che scrisse la Titanomachia dice dall'Etere, Acusilao dal Caos primigenio; nei versi attribuiti a Museo è scritto che in principio era il Tartaro e la Notte. »(Frammenti dei Presocratici (Diels-Kranz: 2 B 14); Traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici, testimonianze e frammenti, tomo 1. Milano, Mondadori, 2009, p. 29) Per Anassagora[13] come per Platone[14] il "caos" è il luogo della materia informe e rozza a cui attinge un principio superiore, la "Mente" per Anassagora e il Demiurgo per Platone, per la formazione del mondo ordinato: il cosmo La manifestazione del Cosmo secondo la Teogonia di Esiodo
«[La nevrosi] è in ultima analisi una sofferenza della psiche che non ha trovato il proprio significato» (C.G.Jung, Opere 11, p.314)
“Nella malinconia si cela una parte molto importante della personalità, un prezioso frammento della psiche, da cui può scaturire la creatività, conferendogli un significato di alta spiritualità catartica. Non dobbiamo cercare di liberarci di una nevrosi, ma piuttosto di fare esperienza di quello che significa per noi e di quello che ci insegna. Dobbiamo addirittura imparare ad esserle riconoscenti. Senza di lei avremmo potuto perdere l’occasione di apprendere chi siamo in realtà: non siamo noi a guarirla, è lei che ci guarisce.” (Carl Gustav Jung) “…non dobbiamo cercare di liberarci di una nevrosi, ma piuttosto fare esperienza di quello che ci insegna. Dobbiamo addirittura imparare ad esserle riconoscenti. Senza di essa avremmo potuto perdere l’occasione di apprendere chi siamo in realtà: non siamo noi a guarirla, è lei che ci guarisce.” (C. G. Jung) «La causa ultima delle nevrosi è qualcosa di positivo che ha bisogno di essere salvaguardato per il paziente stesso; altrimenti egli soffre di una perdita psichica.» (C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga, Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri, gp.174) «Consiglio perciò alle persone che hanno una nevrosi: adesso entraci dentro, vivila, così sei tu ad averla in mano e non è più lei a possederti.» (C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga, Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri, p.138) «La nevrosi è orientata per conseguire un fine» (C.G.Jung, Opere 7, p.40) «Il malato non deve imparare come ci si liberi da una nevrosi, quanto piuttosto come la si possa reggere.» (C.G.Jung) «La nevrosi è una frattura con se stessi. La causa di questa frattura deriva, nella maggior parte degli uomini, dal fatto che la coscienza vorrebbe tener fede al suo ideale morale, mentre l’inconscio tende a un proprio ideale immorale…che la coscienza vorrebbe rinnegare.» (C.G.Jung – Due testi di psicologia analitica) «[…] il trattamento delle nevrosi non è l’equivalente psicologico di una cura termale, ma un rinnovamento della personalità che, come tale, coinvolge tutti gli aspetti e i settori della vita.» (C.G.Jung – La funzione trascendente, Vol.8, p.104) «La teoria delle nevrosi di Freud si attaglia mirabilmente alla natura dei nevrotici, ma l’autore la rende troppo dipendente dalle idee nevrotiche a causa delle quali precisamente la gente è ammalata. Di qui nasce l’impressione (che, sia detto di volo, soddisfa pienamente il nevrotico) che la causa efficiens delle nevrosi risieda in un lontano passato. In realtà la nevrosi si fabbrica da capo ogni giorno, e precisamente attraverso un falso atteggiamento che consiste proprio nel fatto che il nevrotico pensa e sente da nevrotico, pronto poi a trovare una giustificazione nella sua teoria delle nevrosi.» (Jung – Simboli della trasformazione) “Lo scopo principale della psicoterapia non è quello di portare il paziente ad un impossibile stato di felicità, bensì insegnargli a raggiungere pazienza filosofica nel sopportare il dolore. Spesso dietro le nevrosi si nasconde tutto il dolore naturale e necessario che non siamo disposti a tollerare”, (C. G. Jung, 1943). “La nevrosi è un tentativo, talvolta pagato a caro prezzo, di sfuggire alla voce interiore e quindi alla propria vocazione [...]. Dietro la perversione nevrotica si cela la vocazione dell’individuo, il suo destino, che è crescita della personalità, piena restaurazione della volontà di vivere, che è nata con l’individuo. Nevrotico è l’uomo che ha perso l’amor fati; colui, invero, che ha fallito la sua vocazione [...] ha mancato di realizzare il significato della sua vita”, (C. G. Jung, Lo sviluppo della personalità,1932, XVII, pp. 183-184). “La diagnosi è una cosa del tutto irrilevante. [...]. Nel corso degli anni mi sono abituato a trascurare totalmente la diagnosi di specifiche nevrosi. [...] Ciò che veramente conta è il quadro psicologico, che può essere disvelato nel corso della cura oltre il velame dei sintomi patologici”, (C. G . Jung) “Le teorie di Freud e di Adler non danno un sufficiente significato alla vita. Mentre è solo il significato che libera [...]. Essi non sanno dare risposta al problema e al profondo significato della sofferenza dell’anima. Una psiconevrosi deve invece, in ultima analisi, essere intesa come la sofferenza di un’anima che non ha scoperto il senso del suo esistere”, (C. G. Jung) . “Freud ha una ‘teoria.’ Io non ho nessuna ‘teoria’ ma descrivo dei fatti. Non teorizzo sull’origine delle nevrosi, descrivo il contenuto delle nevrosi. Devo sottolineare ciò perché la gente manca sempre di vedere che io parlo di fatti e designo dei fatti, e che i miei concetti sono semplici nomi e non termini filosofici”, (Lettera di Jung a J. Jacobi, 14 Marzo, 1956). “La nevrosi non è un’entità separabile, ma è la totalità della psiche patologicamente turbata. La sconvolgente scoperta di Freud fu proprio che la nevrosi non è un mero insieme di sintomi, bensì un funzionamento difettoso che coinvolge l’anima intera. Quello che importa non è più la nevrosi, ma colui che ne soffre. Dobbiamo fondare il nostro lavoro sull’uomo”, (C. G. Jung, 1943, pp. 93-94). “Mi sembra che le nevrosi siano considerevolmente aumentate parallelamente alla decadenza della vita religiosa… lo stato generale spirituale dell’uomo europeo presenta quasi dovunque una grande mancanza di equilibrio. «La nevrosi è scissione interiore, sdoppiamento di sé. Tutto ciò che favorisce questo sdoppiamento la fa peggiorare; tutto ciò che lo attenua la fa migliorare. Il problema della guarigione è un problema religioso. Chi dice (al nevrotico) che è troppo egoista lo spinge sempre più addentro alla nevrosi. E’ proprio l’egoismo dei malati che mi costringe, onde guarirli, a riconoscere il profondo significato dell’egoismo, il quale rappresenta – dovrei essere cieco per non vederlo – un’autentica volontà di Dio. Cioè se il malato riesce – e in ciò devo aiutarlo – a far prevalere il suo egoismo, si estrania dagli altri e li respinge facendoli ritornare in sè. E’ proprio quel che meritano, dato che volevano sottrargli il suo “sacro egoismo”, che deve essergli lasciato perchè è la sua forza più potente e più sana, è, come ho già detto una vera volontà di Dio che lo spinge verso un isolamento spesso totale. Questo stato, seppure quanto mai miserabile, è nel contempo molto utile: poichè soltanto in esso il malato può riconoscersi, può imparare a misurare quale bene inestimabile sia l’amore degli altri uomini; e perchè soltanto nell’abbandono e nella più profonda solitudine si possono incontrare le proprie forze soccorritrici. Il più che diabolico egoismo è la via regia verso il silenzio che l’esperienza religiosa più profonda richiede. E’ la grande legge dell’enantiodromia, del rovesciamento verso l’opposto che rende possibile la congiunzione delle metà nemiche di cui è fatta la personalità, mettendo fine alla guerra civile. E’ come se, al momento culminante della malattia, l’elemento distruttivo si tramutasse in elemento guaritore. Il grande rivolgimento accade cioè nell’istante in cui compaiono nei sogni o nelle fantasie motivi che non si può dimostrare abbiano origine nella coscienza. Il fatto che dall’oscuro regno della psiche si faccia incontro al malato qualcosa di estraneo, che non lo si trova perciò al di là dell’arbitrio personale di questo, agisce come una grande illuminazione. Ritrovato l’accesso alle fonti della vita psichica, il malato comincia a guarire ”, (C. G. Jung).” [...] So per esperienza che ogni coazione, si tratti di una lieve suggestione o insinuazione o di qualsiasi altro mezzo di persuasione, non fa altro, in ultima analisi, che ostacolare l’esperienza più alta e più decisiva: il trovarsi soli con il proprio Sé, o qualsiasi altro nome si voglia dare all’oggettività dell’anima. Essi devono esser soli, non c’è scampo, per far l’esperienza di ciò che li sorregge quando non sono più in grado di sorreggersi da sé. Soltanto questa esperienza può fornir loro un fondamento indistruttibile”, (C. G. Jung, Psicologia e alchimia) . Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche di risposta a stimoli naturali o appresi. In termini evolutivi la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell' individuo a situazioni in cui per la sopravvivenza si rende necessaria una risposta immediata, che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazioni coscienti.
Le emozioni rivestono anche un ruolo relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione auto-regolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d' animo. Il neonato evidenzia tre emozioni fondamentali che vengono definite innate: paura, amore, ira. Entro i primi 5 anni di vita manifesta altre emozioni fondamentali quali vergogna, ansia, gelosia, invidia. L' evoluzione delle emozioni consente al bambino di comprendere la differenza tra il mondo interno e il mondo esterno, oltre a conoscere meglio sé stesso. Dopo il seto anno d' età il bambino è capace di mascherare le proprie emozioni e di manifestare quelle che si aspettano da lui. A questo punto dello sviluppo il bambino deve imparare a controllare le emozioni, soprattutto quelle ritenute socialmente non convenienti, senza per questo indurre sensazioni di disagio psico-fisico. Le emozioni primarie, secondo la psicosintesi sono 6 divise in 3 coppie:
Dalla combinazione delle emozioni primarie derivano le altre (secondarie o complesse)
Con il termine sentimento si intende generalmente la capacità di provare sensazioni ed emozioni in modo consapevole. A differenza dell' emozione, il sentimento presenta una minore intensità ed una maggiore durata. I sentimenti sono l' espressione di ciò che ci circonda e che agisce direttamente o indirettamente su di noi. La maggior parte dei nostri sentimenti è controllata dal nostro subconscio. I sentimenti possono influenzare il nostro umore, il nostro modo di agire e di parlare, ma soprattutto il nostro modo di vedere e di essere. ''Per affetto bisogna intendere uno stato di sentimento caratterizzato sia da un’ innervazione corporea percettibile, sia da un’agitazione specifica del decorso rappresentativo.
Il termine affetto è, per me, sinonimo del termine emozione; ma, a differenza di Bleuer, io distinguo il sentimento dall’affetto, sebbene non ci sia tra i due alcun limite netto, dato che ogni sentimento che raggiunge un certo livello di intensità fa scattare delle innervazioni corporee e si trasforma in affetto. Per comodità, tuttavia, sarà bene distinguere l’affetto dal sentimento: quest’ultimo, effettivamente, può essere una funzione di cui si dispone a propria volontà, mentre in generale l’affetto non lo è. Allo stesso modo l’affetto si distingue nettamente dal sentimento per l’innervazione percettibile del corpo che manca totalmente nel sentimento, o vi si trovano con una intensità così fievole che occorrono degli strumenti particolarmente sensibili per scoprirla. All’affetto si aggiunge la percezione delle innervazioni fisiche che questo fa scattare; è questo il punto di partenza della teoria di James-Lange che fa derivare ogni affetto dall’innervazione fisica che ne sarebbe la causa. In contrapposizione a questa radicale teoria, io considero l’affetto ora uno stato psichico del sentimento, ora uno stato fisiologico d’innervazione, che si aggiungono e agiscono l’uno su l’altro; detto in altro modo, al sentimento rinforzato si aggiunge una componente sensoriale che avvicina l’affetto alla sensazione e lo distingue specificandolo dallo stato di sentimento. Io ordino gli affetti nettamente sottolineati, accompagnati cioè da violente innervazioni corporee, non nel dominio della funzione del sentimento, ma in quello della funzione sensoriale.,, C. G. Jung, Tipi Psicologici INCONSCIO INDIVIDUALE & INCONSCIO COLLETTIVO L' inconscio individuale e l' inconscio collettivo sono parti della Psiche. L' inconscio individuale deve la sua esistenza all' esperienza personale: esso è per lo più formato da contenuti che sono stati un tempo consci, ma che in seguito sono scomparsi dalla coscienza (dimenticati, rimossi); esso è costituito soprattutto da complessi. L' inconscio collettivo deve la sua esistenza esclusivamente all' ereditarietà, non ha nulla a che vedere con l' esperienza personale ed i suoi contenuti non sono mai stati consci; esso è costituito essenzialmente da archetipi ed è un sistema psichico di natura collettiva, impersonale, universale, identico per tutti gli individui. Gli archetipi sono forme pre-determinate, universali. Esse corrispondono: nella ricerca mitologica ai motivi nella psicologia dei primitivi alle représentations collectives (Lévy-Bruhl) nella religione comparata alle categorie d' immaginazione (Huber e Mauss) i pensieri elementari o primordiali (Adolf Bastian) Gli archetipi possono essere considerate immagini inconsce degli istinti ovvero modelli di comportamento istintuale. Gli istinti sono fattori impersonali di natura motivante, erditari, diffusi universalmente. (es. istinto sessuale, spinta all' auto-affermazione, nutrizione...).Essi si sono formati molto prima che si formasse la coscienza (n.d.E. tanto nell' uomo- individuo quanto nell' essere umano collettivo (specie)) L' attività umana è influenzata dagli istinti (e quindi da modelli di comportamento archetipici) in modo del tutto indipendente dalle motivazioni razionali della mente cosciente (n.d.E. come il sistema nervoso autonomo e volontario). L' inconscio collettivo è la regione della psiche abitata da forme inconsce preesistenti e universali (archetipi). Fai clic qui per effettuare modifiche. NEVROSI E ARCHETIPI
''non vi è persona folle sotto il dominio di un archetipo che non ne divenga preda'' C. G. Jung In numerosi casi di nevrosi la causa del disturbo consiste nella mancata cooperazione a livello psichico tra coscienza e archetipo costellato (attivato). Nella vita vi sono tanti archetipi quante situazioni tipiche. La ripetizione continua ha impresso questi schemi nella nostra costituzione psichica come immagini senza contenuto atte a rappresentare solo la possibilità di un certo tipo di percezione e d' azione. Quando si presenta una situazione che corrisponde ad un dato archetipo, esso viene attivato e si manifesta come un' imposizione sulla volontà razionale oppure, se il conflitto è di dimensioni patologiche, come una nevrosi. Il materiale che riguarda gli archetipi è reperibile nei sogni (specialmente quelli della prima infanzia), nell' immaginazione attiva, nei deliri paranoici, nel trance, nelle associazioni verbali. Tale materiale ha valore solo se vi si possono addurre paralleli mitologici convincenti. Per delineare un parallelo valido è necessario conoscere il significato funzionale individuale del simbolo che compare nel sogno/delirio/visione e scoprire se il simbolo mitologico apparentemente parallelo possegga un contesto simile. Bisogna verificare cioè che posseggano un significato funzionale simile. I simboli non devono essere isolati dal loro contesto! |
AUTORE:
Eleonora De Simoni Archivi
Dicembre 2024
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