Il disegno -a grafite, fusaggine, carboncino, sanguigna...- è un efficace metodo d'indagine e di relazione nei confronti dell' immagine interiore che abbiamo dell' idea di corpo.
Le immagini interiori attive e non strettamente legate al ricordo, hanno come caratteristica principale la dinamicità: esse sono in continuo movimento e nel caso in cui si cristallizzino parzialmente in un' immagine specifica e reiterata, questa non è mai statica, uguale a sè stessa o coglibile in ogni dettaglio (a meno che si tratti di visioni di specifica natura, ma questo è un altro tema). Il disegno, similmente alla rêverie, alle Phantasien, alle immagini interiori appunto, possiede carattersitiche di fluidità, rapidità, reversibilità, è al contempo materiale e immateriale (è fatto di vuoti e di pieni), è una tecnica particolarmente adatta all' inseguimento, alla partecipazione e allo sviluppo delle nostre immagini interiori e permette di coglierne, trascriverne e fermarne, con rapidità istantanea, alcuni aspetti trasformandoli in esperienza attiva. Disegnando noi facciamo attivamenete e nel mondo, qualcosa di concreto, mentre limitandoci ad osservare le immagini che scorrono nella nostra mente o semplicemente a parlarne, siamo destinati ad un ruolo marginale e passivo di spettatore. La rappresentazione grafica del corpo (e poco importa se è ''dal vero'', da un' altra immagine o ''di fantasia'') è una pratica che tende a sintonizzarsi con una dimensione più ampia e collettiva dell' idea di umano: non vengono ritratti (soltanto) individui con precise caratteristiche somatiche, con una storia personale ed unica, ma esseri umani più ampi, osservati in controluce: corpi depersonalizzati, corpi -per così dire- universali: ora creatori ed erotici, ora sofferenti e aggressivi, ora a riposo (...) portatori di delicate costellazioni archetipiche e, a loro volta, potenziali costellatori archetipici. Mentre disegnamo il corpo ne costruiamo un' immagine rappresentativa con e attraverso la materia, nel mondo esterno, al contempo strutturiamo e plasmiamo un' immagine interiore dello stesso. I due piani immaginali (esterno ed interno) durante la creazione non smettono di comunicare integrandosi, contaminandosi, stimolandosi, contenendosi, così che il disegno prodotto non è mai soltanto appartenente al mondo della materia o al mondo interiore ma può essere considerato come un oggetto portatore (o riflettente) del Mana di chi l'ha prodotto. Il disegno del corpo inoltre possiede la capacità di ricongiungere e riorganizzare in uno spazio-tempo preciso e in un oggetto tangibile e visivamente condivisibile, la frammetazione a cui il corpo è sottoposto nell' immaginario condiviso, dalla scienza, dall' estetica popolare, dalle nostre estesse percezioni (vedi homunculus sensitivo). L' acquerello è il mezzo espressivo che, servendosi dell' acqua come medium, finisce con l‘ acquisirne alcune importanti caratteristiche, avvicinandosi così, più di qualsiasi altro materiale espressivo, al linguaggio immaginale dell' inconscio e -per chi conosce l' esperienza sinestetica- all' astrazione immaginale dinamica del suono. L‘ acquerello è costituito da pigmenti macinati molto finemente miscelati a gomma arabica ed una volta diluito in acqua, il colore diventa fluido, trasparente, estremamente sensibile a vibrazioni, correnti d‘ aria e gravità quindi molto dinamico ed instabile, difficilmente prevedibile o controllabile: come se avesse una vita propria. Dipingendo con l' acquerello (e, più in generale, con tutti i materiali espressivi a base acquosa molto diliuti: inchiostri, gouache, tempera, acrilico...) ci rendiamo immediatamente conto di quanto su una superficie umida vigano regole diverse rispetto a quelle a cui siamo abituati con i media pittorici densi e le nostre certezze possono vacillare: qui un punto non è più un punto, e una linea non è più una linea. I segni si espandono e si muovono in modo imprevedibile e irreversibile ( a meno che interveniamo con carta assorbente, spugnette, lamette, insomma oggetti esterni alla pittura vera e propria); possiamo assistere ad improvvise e sorprendenti attrazioni e fusioni tra determinati colori o a veementi separazioni e repulsioni senza una particolare logica. Sperimentando il colore fluido noteremo come ogni pigmento possegga un suo specifico modo di reagire sui vari tipi di carta e in relazione agli altri pigmenti: può penetrare in profondità e lasciare tracce del tutto irreversibili o fermarsi in superficie, può coprire o risultare trasparente nonostante le stratificazioni, può contaminare o contaminarsi, esaltare, fondersi o soffocare del tutto un altro colore, può mutare significativamente una volta asciutto rivelando una straordinaria ed inattesa brillantezza o una deludente opacità. Nella pittura ad acquerello la carta riveste un ruolo fondamentale, sia dal punto di vista tecnico (che qui non approfondirò) sia da quello simbolico ovvero appartenente al regno del rio abajo rio (prendendo in prestito un' immagine di Clarissa Pinkola Estès siccome qui, alla fin fine, seppure a parole, è di immagini che stiamo parlando :-)). A livello simbolico la carta può essere considerata come lo spazio dell' altro (là dove con altro si intende un oggetto di relazione ideale, un ''diverso da me'') e quindi l' intervento pittorico può essere simbolicamente considerato come una modalità di azione nel mondo ovvero di relazione.
Dipingere con l' acquerello ci costringe a fare i conti con l' impossibilità di avere un potere diretto sugli eventi, l' impossibilità di avere un pieno potere di previsione e quindi di controllo sulle reazioni dell' altro in risposta ad una nostra azione (il segno, la traccia che lasciamo sul foglio). Ma ci regala anche la possibilità di scoprire il piacere di abbandonarci al corso degli eventi, adattandoci, accettando e accogliendo la reazione imprevista dell' altro, giocando, interagendo e improvvisando o, semplicemente, restando a guardare. La quantità, l' intensità e la varietà di colore che apponiamo sul foglio possono offrirci importanti spunti di riflessione, facendo attenzione a non scadere nell‘ interpretazione da manuale di cucina (M. L. Von Franz) Un' altra caratteristica peculiare della pittura ad acquerello è la serie di gesti preparatori a forte connotazione rituale che precedono la pittura vera e propria: la scelta della carta è di per sé molto coinvolgente a livello tattile, sonoro, olfattivo, visivo ed uditivo; richiede in oltre un certo investimento economico (là dove l' investimento di denaro si identifica con l' investimento di potenziale creativo con tutto il corredo di riflessioni che questo comporta). La preparazione del piano di lavoro, l' umidificazione e la tensione del foglio, la preparazione del colore sono tutti gesti pre-stabiliti, tradizionali (quindi collettivi) e molto significativi a livello immaginale che, come i modelli dei miti di creazione -ripetuti da molti popoli prima dell' inizio di ogni opera importante- contribuiscono a stabilire un ordine, predispongono all' accoglienza di qualcosa di nuovo, creano aspettativa e quindi responsabilità, impegno, concentrazione e massima presenza hic-et-nunc. Nelle immagini del post dettagli di lavori realizzati durante vari ateliers realizzati con le gouaches studio Caran D‘ Ache (sia in pastiglie che in tubetto) e con succhi di vegetali miscelati ad acqua e miele che oltre ad offrire l' interessante esperienza di una palette ridotta, coinvolgono maggiormente il senso dell' olfatto e , volendo, del gusto :-). Siamo abituati a pensare alla pittura-a-dita (o digitopittura) come ad un' attività piacevolmente primitiva, immediata, poco strutturata quindi adatta soprattutto all' intrattenimento di bambini molto piccoli. In realtà anche per l' adulto sperimentare questa tecnica espressiva può rivelarsi un' esperienza molto significativa. Dipingere con le dita coinvolge il nostro livello primario di esperienza in quanto implica l‘ utilizzo diretto del corpo. Il rapporto corpo-supporto-traccia essendo più ravvicinato rispetto alla pittura tradizionale (in quanto non mediato da utensili protesici come pennelli o spatole), permette un‘ espressione rapida, immediata, poco razionale e coinvolgente, in una parola: autentica! Dipingere con le dita è una delle poche tecniche pittoriche che ci permette di sentire a livello tattile il materiale espressivo, la sua consistenza densa, la sua freddezza, la sua umidità. Questa tecnica implica necessariamente il macchiarsi e il macchiare, lo sporcarsi e lo sporcare (con tutte le implicazioni simboliche del caso). Sperimentando la digitopittura ci accorgeremo di avere poco controllo sul segno e sulla miscela dei colori, sia sulle dita che sul supporto. Faremo i conti con la nostra disponibilità a lasciare una traccia forte e diretta -per quanto reversibile- e sperimenteremo la necessità della presenza lucida e responsabile, dell‘ intervento tempestivo, dell‘ adattamento al mutamento continuo, nonché della capacità di abbandono tipici dell‘ improvvisazione. Mentre si dipinge con le dita, soprattutto le prime volte, è possibile che affiorino reminiscenze, sensazioni ed emozioni regressive per esempio legate al gioco infantile con la sabbia, con il fango, con il cibo (alcuni colleghi propongono miscele di acqua e farine, polvere di orzo e cacao miscelate ad olii, burro di arachidi, cioccolata spalmabile...). Durante la sperimentazione è possibile assistere all‘ emersione di fantasie di tipo magico (la materializzazione della traccia colorata sotto lo scorrere del dito) o associazioni immaginali di tipo corporeo-escretorio; è possibile che si creino delle dinamiche di piacere giocoso e liberatorio, o/e di resistenza (sotto forma di indifferenza, distacco, impazienza, disgusto, disagio, senso di ridicolo o di colpa ...) spesso riguardanti la cultura e l‘ educazione. Dipingere con le dita ci permette di intervenire sul foglio apponendo colori puri e brillanti, lisciando, accarezzando, spalmando, nutrendo, decorando oppure colpendo, graffiando, togliendo, creando abrasioni, buchi, ferite, soffocando con miscele di colore e saturazioni cromatiche molto evocative. ‘‘dicevamo appunto che è come un gioco con la creta, sancito dal punto di vista sociale, che permette di esternare impulsi aggressivi, soddisfa i desideri di distruzione senza essere distruttivo e offre la possibilità di sfidare tabù senza timore di rappresaglia.,, (da ‘‘Percorsi trasformativi in arteterapia,, Laura Grignoli 2008) Personalmente trovo che questa tecnica sia molto adatta al dialogo pittorico a quattro mani: permette infatti di improvvisare, di mettere e togliere , mantenere la propria identità segnica o fonderla con quella dell‘ altro, permette di mettersi in risonanza e in comunicazione con l‘ altro grazie alla vasta gamma di gesti che offre e alla possibilità di creare ritmi visivo-sonori (sfregamenti, picchiettamenti, graffi, ticchettii...), volendo, permette di lasciare delle tracce sul corpo dell' altro in modo innocuo ed immediatamente reversibile (le tempere a dita sono atossiche, idrosolubili e a lenta essicazione). Ho notato che utilizzando spesso questo materiale è facile sviluppare delle ‘‘startegie stilistiche‘‘ (automatismi, stereoripie ) preferisco quindi non proporlo troppo spesso. ‘‘I fogli di carta messi a loro disposizione e sui quali hanno cominciato giudiziosamente a ‘‘pitturare culturalmente‘‘ sono stati abbandonati abbastanza alla svelta da alcuni che hanno cominciato a scarabocchiarsi il viso …e quello degli altri. All‘ inizio timida, a causa dei divieti culturali, quell' aggressione corporea, attraverso la macchia, ‘‘degenera‘‘ progressivamente in un' allegra bagarre con regressione anale e sadico-anale, finendo talvolta il miscuglio dei colori per creare una materia il cui colore e la cui consistenza sono assai significativi. Certuni vi prendono un piacere evidente mentre altri fuggono inorriditi. Il senso di colpa retrospettivo provocato da simile trasgressione non impedisce a certi di confessare il grande piacere ed il profondo sentimento di liberazione che hanno provato, mentre i fuggitivi si sentono frustrati e con un senso di colpa per non avervi potuto partecipare. La constatazione di quel profondo desiderio rimosso ci ha portato ad istituzionalizzare quella trasgressione per liberarla dal senso di colpa.,, (da ‘‘Il corpo e l'inconscio in educazione e terapia,, André Lapierre,Bernard Aucouturier 1991) ‘‘Eripitur persona manet res,, ‘‘Si strappa la maschera rimane la realtà,, La maschera permette di nascondere o modificare il volto ed è in grado di operare una trasformazione interiore in chi la indossa. Essa è infatti in grado di occultare l‘ immagine identitaria attraverso la quale ci definiamo e ci riconosciamo e attraverso la quale gli altri ci riconoscono, permettendoci di accedere -seppur per un tempo limitato- ad un‘ immagine nuova, quindi ad un identità diversa. Da sempre la maschera rappresenta un mezzo per sintonizzarsi e partecipare attivamente e consapevolmente alla forza soprannaturale di dèi, demoni, antenati o spiriti archetipici, durante rituali religiosi, scontri bellici, feste pagane e spettacoli, al fine di utilizzare tale forza a benefico dell‘ individuo e/o della comunità. Indossare una maschera permette di neutralizzare la propria individualità e la propria riconoscibilità, nonché di mantenere la propria immagine sociale-morale integra durante la pratica di attività socialmente considerate inaccettabili (si pensi per esempio alla figura del boia incappucciato, agli adepti di certe associazioni segrete, ad attività illecite come furti ed aggressioni, a certe pratiche esibizionistiche di tipo sessuale) in questi casi la maschera funziona da ponte tra ciò che si desidera fare e ciò che gli altri ritengono accettabile o non-accettabile. Obbligare qualcuno ad indossare una maschera significa umiliarlo, obbligandolo a trascendere la propria immagine identitaria a favore di una ridicola e grottesca: si pensi alla Schandmaske (maschera della vergogna) e al cappello con le orecchie d‘ asino imposti come strumento di pubblica umiliazione a delinquenti e studenti poco meritevoli. Analogamente smascherare qualcuno significa rivelare pubblicamente la sua vera identità e la sua tendenza all‘ inganno e alla menzogna. Indossare una maschera, materiale o immateriale, implica necessariamente il desiderio più o meno consapevole e più o meno intenso di essere una persona diversa da quella che siamo. Alla maschera possiamo affidare il compito di proteggere, come uno scudo, la nostra vulnerabilità, oppure di amplificare esteriormente caratteristiche interiori poco sviluppate (pensiamo alle pelli di animali selvatici nelle divise dei Signifer romani). Di fatto la maschera fa da ponte tra noi e gli altri, tra l‘ immagine che abbiamo di noi e l‘ immagine che vorremmo gli altri abbiano di noi. "Noi siamo ciò che fingiamo di essere, quindi dobbiamo essere attenti a ciò che fingiamo di essere." (Kurt Vonnegut) una nota interessante: il sostantivo persona in latino indicava la maschera di legno portata dagli attori nell‘ antica Grecia la cui funzione era quella di amplificare il suono della voce (per-sonàr) oltre che di esagerare i tratti del volto in modo che il personaggio potesse essere facilmente percepito e riconosciuto, a distanza, dal pubblico. Fai clic qui per effettuare modifiche.
''Il regno di Dioniso (Bacco per i Romani) si estende a tutta la natura, soprattutto al suo liquido fertile e seminale: la linfa che scorre negli alberi, il sangue che pulsa nelle vene, il fuoco liquido dell‘ uva, le stagioni della natura, misteriose e incontrollabili con i loro corsi e ricorsi''. (Ph. Mayerson) ''(...) era connesso, inoltre, all’umidità e all’acqua. Rappresentava l’energia vitale della natura (dỳnamis) e chi lo venerava ne acquisiva il suo furore (enthousiasmòs o manìa), inteso non come follia, ma come benefico stato d’invasamento divino. Questa vitalità prorompente aveva, però, il suo rovescio: Dioniso era anche il dio della trasformazione, della metamorfosi, del ciclo morte/rinascita''. (Filippo Sciacca) L‘ archetipo Dioniso apparentemente suscita impulsi intensamente contraddittori, personalmente credo possa essere dovuto al fatto che i processi enantiodromici siano estremamente rapidi, quindi poco assimilati (tendenzialmente vissuti in superficie) e proprio in virtù della loro rapidità (se ci immaginiamo le dinamiche psichiche con un andamento torico) nelle loro polarità esterme si manifestano con grande veemenza a discapito, appunto, dei passaggi intermedi: estasi e terrore, vitalità infinita e distruzione violenta, euforia e depressione, estremo entusiasmo e totale disinteresse (in ambito psichiatrico, tanto per intenderci, parlerebbero di ciclotimía). ‘‘Dioniso era un dio adulto che moriva, un dio che trascorreva un certo tempo nell‘ oltretomba, un dio neonato,, J. S. Bolen Un uomo che abbia Dioniso come archetipo dominante, potrebbe rischiare di identificarsi troppo col fanciullo divino e trovare difficile l‘ adattamento al mondo e ai suoi costumi ordinari. L‘ archetipo del fanciullo divino rischia poi di trasformarsi, nella vita concreta, nell‘ archetipo pop dell' eterno adolescente (puer aeternus) caratterizzato dall' incapacità di prendersi delle responsabilità individuali e collettive, dalla presenza di un Io dilatato e poco concreto, dal risentimento per il mancato riconoscimento delle sue pseudo qualità-speciali nonché dall' inaffidabilità relazionale (sia in ambito sentimentale che professionale). ‘‘Se l‘ archetipo del fanciullo divino viene rimosso, il rischio sarà quello di trovarsi di fronte alla sensazione di condurre un' esistenza priva di significato, poco autentica,, (J. S. Bolen) Per crescere psicologicamente, l‘ uomo Dioniso dovrebbe lasciarsi alle spalle l‘ identificazione con il fanciullo divino e con l‘ eterno adolescente e diventare l‘ eroe del proprio mito. Ora, come sappiamo, eroi si diventa (anche) attraverso il viaggio iniziatico. Il viaggio iniziatico dovrebbe condurre il nostro Dioniso nelle profondità del mondo ctonio, nel regno dei morti, nel punto più oscuro dell' utero della Magna Mater dove domina il nero e dove le indefinite mostruosità inconsce minacciano l‘ integrità dell' Io. Dioniso dovrebbe affrontare attivamente i pericoli di quel mondo e riemergere con un Io intatto e rafforzato (secondo la mia umile esperienza, non di rado il processo di riemersione inizia tra marzo e aprile). Nel mito ufficiale, l' ultima impresa di Dioniso prima di salire sull' Olimpo fu proprio quella di tuffarsi nel regno di Ade attraverso l‘ accesso di uno stagno senza fondo della palude di Lerna, recuperare dal regno di Ade la madre Semele (morta quando lui era ancora un feto), di condurla dapprima sulla terra e poi sull‘ Olimpo rendendola immortale. La lettura in chiave psicologica di questa impresa può essere vista come la separazione della madre personale dalla Magna Mater, nonché il superamento della paura dell‘ inconscio e del polo divorante del femminile. Quando il nostro eroe riuscirà a liberare la madre personale ( e quindi la donna, compagna, amante (…)personale, nonché la propria Anima, dalla dimensione archetipica della Magna Mater, il suo Io adolescente diverrà un Io eroico, ovvero adulto. Il mito di Dioniso è caratterizzato da un lungo peregrinare (Egitto, India, Asia Minore, Ellesponto, Tracia, Grecia) ovunque andava insegnava la coltivazione della vite. Era un dio perseguitato e disprezzato in quanto capace di allontanare le donne dal telaio e dal focolare per condurle in zone selvagge (fisicamente e psichicamente) coinvolgendole in esperienze orgiastiche estatiche. Era, dea del matrimonio, era sua nemica mortale tanto che secondo una tradizione insinuò in lui la follia. Violenza e follia accompagnano il mito di Dioniso, tanto nel mito quanto nella vita psichica degli uomini egli se ne serve per punire chi lo respinge (vedi re Licurgo oppure le figlie del re Preto e del re Minia; vedi anche tutte le problematiche relative al diniego dell' ombra). Nel mito, Dioniso sarà purificato dalle sue azioni violente ed omicide da Rea/Cibele, dalla quale riceverà l' insegnamento e gli strumenti dei riti di iniziazione, diventando così il sacerdote della Grande Dea. Questo aspetto redento e mistico dell‘ archetipo di Dioniso è riscontrabile negli individui che posseggono doti sciamaniche (e quindi una psiche androgina) e medianiche (ovvero di mediazione tra i mondi). Il viaggio iniziatico di Dioniso nell‘ Ade, versione ‘‘anime‘‘: L‘ uomo dominato dall‘ archetipo di Dioniso può essere considerato dagli altri troppo artista, troppo femminile, troppo mistico, troppo contro-cultura, troppo pericoloso, troppo affascinante, troppo attraente.
‘‘L‘ uomo Dioniso sconvolge la vita ordinaria, rendendo la vita difficile ed invivibile anche a sé stesso.,,(J. S. Bolen). Lo straordinario coinvolgimento del corpo nella vita dell' uomo ad archetipo dionisiaco dominante, puó da un lato rappresentare un' esperienza estremamente positiva (pensiamo alla danza e all‘ amore), dall' altro presentare sintomi negativi di natura psicosomatica: per esempio ipocondria (l‘ attenzione e la percezione del proprio corpo sono molto forti), cecità, paralisi isterica. Anche lo sviluppo di dipendenze (droghe, alchool, sesso) possono essere dei problemi con i quali l‘ uomo Dionisio deve fare i conti. La vita famigliare con un uomo Dioniso può essere molto difficile, sia che si tratti di nostro padre, di nostro fratello, di nostro marito più semplice se si tratta di nostro figlio e presentiamo caratteristiche archetipiche complementari. Innanzitutto perché da buon ‘‘fanciullo divino‘‘ dall‘ ego inflato pretenderà costante attenzione ed adorazione ignorando completamente i bisogni altrui o considerandoli meno urgenti dei propri (va da sé che averlo come padre non sia proprio la cosa più auspicabile); la fedeltà (trasversalmente intesa), la costanza e l‘ affidabilità (anche intellettuale) non appartengono al mondo di Dioniso, con tutte le intuibili conseguenze a livello relazionale. La vita relazionale extra-famigliare con un uomo-Dioniso (averlo come amico o come amante) può essere invece un' esperienza molto stimolante, liberatoria, divertente e sensuale. L‘ uomo Dioniso è -paradossalmente- in grado di sviluppare amicizie anche molto profonde con uomini che presentino archetipi complementari (Ermes, Efesto, Apollo). Una persona potrà abbracciare questo archetipo senza rimuoverlo, senza impazzire, senza commettere violenze o sviluppare dipendenze, senza essere respinto dalle persone ‘‘‘‘normali‘‘‘‘ soltanto sviluppando un Io osservante che accetta qualsiasi pensiero, qualsiasi fantasia, qualsiasi passione, senza giudizio e vergogna e senza agirle. (J. S. Bolen). ''dare testimonianza della dimensione dionisiaca significa riconoscere e apprezzare quel luogo di dolore e di morte che è la vita, e sopportare l‘ intero percorso dalla morte alla vita e dal dolore all‘ estasi, ivi compresa la ferita con cui veniamo partoriti dal tedio incolore di un ottuso conformismo alle aspettative culturali e familiari,, Tom Moore, Saggi sul Puer Il nero è il colore più assoluto ed integrale; rimanda all‘ inesprimibilità dell' assoluto metafisico, al mistero, alla radice ignota di ogni potenza, al buio dei luoghi di germinazione e (ri)generazione (si pensi alle tenebre dei miti di creazione, alla fase alchemica della Nigredo, alla notte). È il colore dell' ombra dell' indistinto primordiale, del nulla. Il nero inghiotte, mescola ed indifferenzia, digerisce, trasforma.
In naturale contrapposizione col bianco, per la psicologia del profondo rappresenta la ‘‘completa assenza di di coscienza, affondare nell' oscurità, nel lutto, nel buio. In Europa ha di solito un significato negativo (…) L‘ uomo nero, la casa buia, il serpente oscuro: tutti elementi cupi che, per esempio nei sogni, possono esprimere l' assenza di speranza,, (E. Aeppli 1943) Alle divinità ctonie venivano di solito offerti animali nerissimi e, analogamente, in età moderna, al diavolo e ai demoni veniva offerto in sacrificio un gallo nero oppure un caprone dello stesso colore. L' ''armata selvaggia'' è costituita da cavalli neri, e il diavolo stesso è più spesso nero che rosso, i riti satanici che scherniscono Dio vengono notoriamente definite ‘‘messe nere,,. Lo spazzacamino (una delle tante declinazioni del mito popolare dell' uomo nero) a prima vista richiama una figura diabolica, ma nel suo più completo capovolgimento di senso, finisce anche per acquisire il valore simbolico di portafortuna. Il nero è stato anche inteso come negazione della vanità e dello sfarzo (abiti monacali e sacerdotali, abiti di lutto); il nero del lutto e della penitenza è contemporaneamente la promessa della futura resurrezione, nel corso della quale si trasforma prima in grigio, poi in bianco (luce, albedo); il nero è anche il colore di molte divinità terrifiche una su tutte Mahkala letteralmente ''il grande nero''. Nera è la dea Kali che incarna al contempo il mutamento radicale, la dissoluzione e la distruzione del creato, nonché la vitalità potente del principio femminile. Misterioso e assai diffuso in Europa era -ed è- il pellegrinaggio alle ‘‘Madonne nere,,, il loro culto, probabilmente legato alla fecondità, pare provenisse dall' Oriente e fosse legato agli aspetti d' ombra di Ecate (luna nera). Nall‘ immaginario popolare possiamo trovare frequenti immagini riferite al nero e ai suoi significanti intrinsechi appena descritti: buco nero, uomo nero, umore nero, oro nero, vedere nero, giorno nero, lavoro nero ... |
AUTORE:
Eleonora De Simoni Categorie
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Marzo 2025
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